SI PUO’ FARE

di | 01/07/2021

Intervista ad Ada Nardin nel suo mondo ideal

Ada Nardin

Puntuale come un orologio svizzero, è arrivato il nuovo numero di SI PUO’ FARE, la rubrica ideata dal Comitato Pari Opportunità UICI Roma. Oggi Ada Nardin ci accompagnerà alla scoperta del suo mondo ideal.

F: Ciao Ada. Un cognome spiccatamente veneto il tuo, infatti nasci a Venezia il 6 settembre 1973 ma ben presto con la famiglia ti trasferisci a Rieti dove rimani per diversi anni e poi a Roma. Data anche la tua disabilità visiva, hai trovato difficoltà ad ambientarti in queste città così diverse?

A: Intanto grazie per questa intervista che mi permette ancora una volta di aprire un dialogo ideale con i vostri lettori.

E’ vero! Nella mia vita ho cambiato città, amicizie e ambienti e ciò non è sempre stato facile; la capacità di adattamento e la curiosità di esplorare sono cresciute col tempo. Aiuto fondamentale è stato il corso di mobilità e orientamento presso l’Istituto S. Alessio perché ho acquisito indipendenza, sicurezza, libertà. Poi, negli anni, anche la timidezza che mi contraddistingueva è quasi del tutto svanita, tanto che io stessa stento a riconoscermi nell’adolescente riservata e silenziosa che ero!

F: A Roma vivi da sola ed hai un ottimo grado di autonomia sia in casa che fuori, naturalmente supportata dal bastone bianco. Tu sei cieca assoluta sin dalla nascita?

A: Si, sono affetta da glaucoma congenito ed ho un residuo minimo infatti percepisco solo luci, ombre e colori, ancorché questi ultimi molto bene tanto da notare svariate sfumature. Questo residuo infinitesimale mi consente di sembrare e forse essere più sicura nei movimenti, ma l’ausilio del bastone bianco lungo è, e resta fondamentale, nei miei spostamenti fuori casa.

F: Nel dare il titolo a quest’intervista ho scomodato Alice nel paese delle meraviglie perché, oltre ad avere un impiego presso l’URP del dipartimento politiche sociali di Roma Capitale, svolgi molte altre attività; quel “mondo ideal” lo hai dipinto tu stessa facendolo diventare realtà.

A: Grazie per aver scomodato uno dei miei miti, la curiosità e l’intraprendenza di Alice costituiscono un’ispirazione continua, un faro costante nella mia vita.

Il mio lavoro di istruttore all’ufficio relazioni con il pubblico in un dipartimento così importante e delicato come quello delle politiche sociali, mi consente di dare validi suggerimenti alle persone fragili che si rivolgono a Roma Capitale, anche se spesso gli strumenti attivati non sono affatto sufficienti per soddisfare la crescente richiesta di aiuto. Questo lavoro costituisce un importante tassello nel più generale quadro della mia esistenza militante in diverse realtà sociali, soprattutto sul territorio, in cui sono onorata di prestare attivamente aiuto.

F: Ti sei definita una cooperante dal basso: Mali, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania, queste le tue esperienze di volontariato in Paesi “non proprio semplici”, raccontacele.

A: Le missioni umanitarie a cui ho preso parte, sia al seguito di alcune associazioni, sia, una volta, praticamente sola insieme ad un altro cooperante non vedente, sono forse le esperienze più forti e gratificanti della mia vita sin qui vissuta: L’obiettivo era portare aiuti specifici negli istituti per ciechi, come il materiale didattico, informatico, ludicosportivo e per la mobilità autonoma, e, soprattutto, formare il personale affinché fosse in grado di utilizzarlo in autonomia ed insegnare a sua volta agli allievi ed ai futuri formatori anche dopo la nostra partenza; insomma, un trasferimento di competenze affinché la missione fosse sostenibile e indipendente nel tempo.

Cooperazione dal basso perché ho e abbiamo sempre operato in piccole associazioni, non certo le grandi ONG che possono contare su cospicui finanziamenti, e anche perché, appunto, il lavoro è esclusivamente volontario.

F: Altra avventura oltreoceano è quella che hai intrapreso a New York dove hai vissuto per sei mesi tornandoci poi negli anni successivi per periodi minori. Amore è sicuramente il sentimento che provi nei confronti di questa città, ma io so che non sei andata come turista, bensì come ambasciatrice

A: Esattamente! New York è per me un’altra casa, una città che popola spesso i miei sogni e ricordi, un pezzo di vita che ora mi manca moltissimo. Il mio compagno ed io siamo partiti con l’idea di mettere per un po’ l’oceano fra noi e le nostre esistenze abituali: che meraviglia cominciare praticamente da 0 in un altro continente, con nuovi amici, sfide inedite, ambienti inusuali, e parlando quotidianamente una lingua non nostra! Ci siamo proposti come ambasciatori del baseball per ciechi, due squadre sono nate dal nostro impegno a tratti difficile e ad ostacoli, e anche come portavoce dell’Unione Ciechi: promuovendo scambi interessanti anche per confrontare diversi stili di vita fra le persone con disabilità visiva, e le strategie adottate per risolvere problemi simili ma in differenti contesti. A tal fine abbiamo partecipato a un buon numero di meeting associativi, convention e attività di ogni genere come seminari sulla mobilità autonoma o sulla tifloinformatica con i relativi laboratori.

spiegarcelo?

A: Pur non essendo la persona più adatta a spiegare il funzionamento del (batti e corri), posso riassumere dicendo che nel baseball ciechi sono presenti alcuni accorgimenti finalizzati a garantire la piena sicurezza dei giocatori, tuttavia le tre fasi fondamentali di questo bellissimo e formativo sport sono eseguite:  battuta, corsa sulle basi e tiro.

F: a Milano lavori all’interno della mostra permanente Dialogo nel Buio, di cosa si tratta?

A: Voglio cominciare col dire che sono onorata di essere una guida di questa grandiosa mostra di cui condivido sia gli obiettivi che i metodi.

Sono stati riprodotti alcuni ambienti di vita quotidiana, poi completamente oscurati, in cui i visitatori vengono chiamati ad esplorare la forza degli altri sensi per provare a riconoscere le situazioni, gli oggetti, gli odori e i sapori, ad orientarsi facendo leva anche sulla propriocezione, ma, soprattutto, a compiere un viaggio interiore ed intenso il cui sfidante fine è liberarsi di atavici stereotipi che da sempre circolano sulla disabilità in genere, e quella visiva in specie. A noi guide il delicato compito di tenerli simbolicamente per mano, favorendo un dialogo volto alla sensibilizzazione e alla scoperta di qualcosa che è, in realtà, molto più vicino agli ospiti di quanto loro stessi non immaginino.

F :Una realtà molto interessante quella di dialogo nel buio non ancora presente nella Capitale, dove però hai organizzato e lavorato come cameriera a diverse cene al buio

A: Si, nell’attesa che Dialogo possa ritornare a Roma, nel 97 abbiamo avuto un assaggio per 6 mesi al palazzetto dell’EUR, io e qualche intraprendente ex guida e non solo, ci siamo cimentati nell’organizzazione di cene e eventi vari, per proporre una situazione conviviale in cui trasmettere i messaggi insiti negli eventi al buio anche se in una veste ridotta.

F: Una dimensione quella del buio in cui molti vedenti si perdono smarrendo qualsiasi tipo di riferimento. Per te immagino non cambi molto, ma recependo le sensazioni dei clienti, provi sentimenti particolari lavorando in questo contesto?

A: Domanda interessante che forse nessuno mi aveva mai posto. E’ vero, per la maggior parte degli ospiti calarsi improvvisamente nel buio, pur essendo perfettamente a conoscenza che tutto si svolgerà in piena sicurezza, è un momento straneante e destabilizzante. Molti si tranquillizzano dopo i primi istanti grazie all’atmosfera distesa e giocosa che creiamo, ma alcuni soffrono e si concentrano solo su ciò che loro manca nell’immediato, gli stimoli visivi, e non su tutto il resto, gli altri sensi e il loro corpo che continua a ricevere sensazioni da loro purtroppo ignorate.

A volte provo un senso di sconfitta e questo per due ordini di motivi: in primo luogo penso che il mio ruolo di guida o padrona di casa non sia stato sufficiente a calmare quelle persone distraendole dalle loro paure e facendole concentrare sul momento da vivere e di cui godere, secondariamente, poi, sono spiazzata da reazioni per me incomprensibili, e che mi provocano un’intima sofferenza. Purtroppo vivo quelle manifestazioni come un sottile ma chiaro rifiuto verso la mancanza di un senso, ancorché per poco tempo.

F:Ti ringrazio Ada per questi interessantissimi racconti. Ti saluto e ti auguro di tornare presto alle tue attività.

Di Federica Carbonin

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